Nella fotografia esistono molti generi: la fotografia d’architettura, di paesaggio, quella pubblicitaria o di Still-life, quella naturalistica, quella subacquea.
Proprio sulla fotografia subacquea vorrei fare alcune considerazioni. Le radici della fotografia subacquea affondano, è il proprio il caso di dirlo, alla fine del 1800; ma è nel 1900, e in modo particolare, nel dopoguerra che inizia a diffondersi grazie all’opera di alcuni pionieri.
Questi erano dei subacquei che sperimentavano direttamente tecniche, metodi e strumentazioni per esplorare il mondo sommerso rompendo i vincoli con l’attività subacquea che era propria dei palombari. Lo stesso livello di sperimentazione utilizzato per le attrezzature subacquee è applicato anche per la realizzazione delle foto e delle riprese subacquee.
Persone, con una grande passione e qualche rudimento di tecnica fotografica si sono cimentati nella documentazione di ciò che loro vedevano durante le esplorazioni subacquee.
Dall’esperienza di questi pionieri, la subacquea si è evoluta: sono nate le varie didattiche con lo scopo di creare degli standard che permettessero a tutti di conoscere questa attività sportiva formulando regole e comportamenti che sono, piccole differenze a parte, uguali in ogni parte del Mondo.
Ma cosa è accaduto nella fotografia subacquea? Questa si è evoluta nelle attrezzature ma è rimasta appannaggio di un gruppo di appassionati, quelli che nella fotografia terrestri sono definiti
fotoamatori: persone con la passione della fotografia, con un discreto bagaglio di conoscenze tecniche, una buona attrezzatura – per lo più sempre quella maggiormente performante e di ultima generazione – e una grande propensione alla sperimentazione, al raggiungimento dei risultati per tentativi e per standardizzazioni.
Ho moltissima stima di tanti di questi fotoamatori che, spesso, hanno dato buoni spunti a tanti professionisti. Ma
un fotoamatore non potrà mai essere un professionista, potrebbe diventarlo se svolgesse a tempo pieno tale attività in cui
la sperimentazione deve essere sostituita, necessariamente,
con la pianificazione e la certezza del risultato finale.
La fotografia è arte, è linguaggio espressivo, è comunicazione; non può essere limitata da paletti ideologici e di maniera solo perché la visione che se ne ha è estremamente limitata.
Io credo che esistano due modi di vedere e intendere la fotografia:
la fotografia documentale e la fotografia emozionale. La prima è un a fotografia che documenta un ambiente o azioni che si compiono in questo ambiente; la seconda utilizza l’ambiente sommerso e i suoi abitanti per trasmettere le emozioni che si provano davanti ai colori e alle diverse forme di vita che si incontrano nel mondo sommerso. Non credo assolutamente che la prima possa essere definita fotografia naturalistica e la seconda no. Fotografia naturalistica significa entrare in contatto con l’ambiente che si vuole fotografare, conoscendolo e rispettandolo. Ma
la fotografia è arte, la fotografia è cercare di comunicare sensazioni ed emozioni di trasmettere un messaggio al nostro osservatore:
è arte figurativa.
Anche se il significato comune della parola fotografia è strettamente connessa con la riproduzione di un momento, con la testimonianza di un evento in quanto registrazione della realtà; la
Fotografia non può essere la mera riproduzione della realtà ma ne è sempre una sua interpretazione filtrata da molteplici fattori personali.
«Il luogo comune vuole che la fotografia sia specchio del mondo ed io credo occorra rovesciarlo: il mondo è lo specchio del fotografo.», scriveva il grande fotografo siciliano Ferdinando Scianna; pensiero che ho sempre condiviso ed applicato in oltre 25 anni di professione nel campo della fotografia pubblicitaria.
Nella fotografia professionale nessun genere fotografico è subordinato al mezzo tecnico utilizzato: posso fare uno Still-life di un gioiello utilizzando una fotocamera reflex o un banco ottico, un’ottica grandangolare o un tele; l’importante è che lo strumento utilizzato sia quello più congeniale per trasmettere le emozioni e il messaggio insito in quella fotografia.
Nella fotografia subacquea esistono molti paletti che trovano una stretta correlazione con la “limitata visione” del concetto di fotografia.
Voglio analizzare i vari temi che fanno parte di un regolamento, tipico, di fotografia subacquea al fine di evidenziarne limiti e anacronismo rispetto all’evoluzione del linguaggio comunicativo della fotografia, intesa non più come mera documentazione ma come forma d’arte figurativa
FOTOGRAFIA D’AMBIENTE
Nei regolamenti viene sempre specificato che si intende per fotografia d’ambiente, quella fotografia
che ritrae l’ambiente marino, relitti compresi, purché sommerso e con la po
ssibile presenza della figura umana, che non sia predominante, ma utilizzando un obiettivo grandangolare.
Quindi, se io realizzo una foto, con la tecnica della
doppia esposizione e/o della
sovrapposizione d’immagine (sembrerebbero la stessa cosa, ma non lo sono e anche la loro realizzazione è molto diversa), utilizzando un obiettivo macro ma facendo vedere l’ambiente sommerso, questa foto sarà sicuramente fuori tema, perché non realizzata usando un obiettivo grandangolare.
La foto a fianco è una foto d’ambiente o una foto macro? O, secondo alcuni sofisti della fotografia, è una fotografia creativa? Ho un bel soggetto in primo piano formato da una spugna con sopra un nudibranco, vedo benissimo gli scogli, l’acqua e i pesci, anche se in silhouette, e vedo il riflesso della spugna e del nudibranco.
FOTOGRAFIA MACRO
La fotografia macro
è quella fotografia realizzata utilizzando obiettivi macro (40 – 60 – 80 – 100 – 105mm) i
n cui il soggetto principale, sia esso intero o parte di esso, occupi la maggior parte del fotogramma.
Ma cos’è il soggetto principale? Nel caso di nudibranchi il soggetto principale è anche il supporto su cui esso si trova? E se, allo scatto macro, mediante una duplice esposizione o sovrapposizione d’immagine, aggiungo elementi dell’ambiente sommerso questa foto è da considerarsi macro o d’ambiente?
Due esempi per non essere frainteso: la foto, con il riflesso, della Cratena sull’idrozoo con le ovature è da considerarsi una foto macro? O il riflesso la fa rientrare in quella che, molti, definiscono come fotografia creativa? Vi è una manipolazione dell’ambiente tale da danneggiarne la sua integrità?
Nella foto a fianco, gentilmente concessa per la pubblicazione da Francesco Sesso, abbiamo un nudibranco sul suo idrozoo e, con una tecnica di doppia esposizione o sovrapposizione d’immagine, e la superficie del mare con la silhouette di un sub.
Il soggetto principale, ossia il nudibranco e il suo idrozoo, è stato ripreso con un obiettivo macro, la seconda esposizione è stata realizzata con un obiettivo grandangolare; la costruzione dell’immagine è stata realizzata ponendo in risalto il soggetto principale seppur contestualizzato.
Un bell’esempio di tecnica fotografica e di costruzione dell’immagine che trasmette emozioni e non solo fredda tecnica o mera documentazione.
Qualcuno potrebbe obiettare che è una foto d’ambiente per la presenza dell’acqua e della silhouette del sub. Ma siamo veramente certi che i parametri per valutare questa foto siano solo quelli su descritti e presenti nei regolamenti fotosub?
FOTOGRAFIA CREATIVA
Dato per assodato che la fotografia è una forma d’arte e, quindi, in quanto tale deve necessariamente essere creativa; vediamo cosa viene scritto nei regolamenti a proposito di questo tipo di tema.
Libera rappresentazione, mediante l’utilizzo di tecniche compositive e di esposizione e illuminazione, dell’ambiente sommerso.
Sulla base di quanto affermato in vari regolamenti, la foto a fianco, per gentile concessione alla pubblicazione di David Salvatori, rientra nella fotografia d’ambiente o in quella creativa?
In molti regolamenti si legge “
Ammesso l’uso della doppia esposizione”, ma la doppia esposizione si faceva anche ai tempi della Nikonos e della pellicola: alcuni utilizzavano questa tecnica utilizzando il medesimo obiettivo per entrambe le esposizioni e, quelli più smaliziati e meglio organizzati, riuscivano a cambiare l’obiettivo uscendo dall’acqua e poi rientrandovi.
Ma se la doppia esposizione mi permette di passare da un tema ad un altro, come negli esempi succitati, sembra evidente che alcune rigidità nella definizione dei temi andrebbero superate e i regolamenti rivisiti.
A me sembra che sia un bell’esempio di fotografia dell’ambiente sommerso, visto con gli occhi di un sognatore: d’altronde noi che andiamo sott’acqua e scattiamo foto siamo dei sognatori, dei cacciatori di emozioni e fantasie.
Come già detto, anche nell’ambito della fotografia naturalistica, nessuno si sognerebbe di limitare la creatività e la preparazione tecnica di un fotografo obbligandolo ad usare tecniche e metodi che sono fortemente limitanti della propria sensibilità artistica.
Che si debba agire con rigore nei confronti di chi altera e danneggia l’ambiente sommerso e i suoi organismi è fuor di dubbio; ma teniamo presente che tutte le nostre azioni sono fortemente impattanti con tali organismi: un colpo di flash, ripetuto molte volte, ad una distanza di pochi centimetri, sull’occhio di un pesce sicuramente produce una negatività perché quell’essere, che magari trascorre la maggior parte della giornata al riparo dalla luce in un anfratto, non è abituato a quell’impulso luminoso così forte.
Un’ultima considerazione: se i regolamenti tenessero maggiormente in conto gli elementi emozionali, compositivi e tecnici che devono essere alla base di una fotografia, anche i giurati potrebbero valutare con una maggior competenza.
Sottoporsi al giudizio di una giuria competente è il modo migliore per crescere e migliorare, a condizione che ognuno di noi fotografi la smettano di innamorarsi della propria foto e inizino a diventare i più feroci critici di se stessi. I giurati possono sbagliare, ma molte volte a sbagliare a priori sono proprio i fotografi.
Il discorso è lungo; di esempi, su apparenti incongruenze, se ne potrebbero fare a decine e mostrarne ancor di più.